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Mia nonna aveva vent’anni subito dopo la prima guerra mondiale, quando l’Italia e il mondo soffrivano una crisi, una depressione, che avrebbero portato a conseguenze catastrofiche.
La famiglia viveva a Bologna, una bella casa con le finestre direttamente sul Corso, in pieno centro. Era un primo maggio di sole e lei stava preparandosi per uscire insieme alla sorella.
Ma suo padre, quella mattina –  così mi racconta – le aveva convocate nello studio per una comunicazione importante.
“Oggi non si esce, non dovete uscire per nessuna ragione”.
A mia nonna, che chiedeva insistentemente il perché di una decisione tanto inusuale, il padre rispose: “E’ la festa dei lavoratori, c’è una grande manifestazione prevista in queste ore, è pericoloso” e poiché sua figlia resisteva, le fece sprangare tutte le finestre, per maggiore sicurezza.
Ma la mia nonna Giulia non era tipo da lasciarsi scoraggiare: incuriosita, lasciò una persiana del salotto socchiusa, quel tanto per poter vedere.
E, mi raccontava la nonna, quello che vide fu straordinario.
Tutto il viale del centro, le vie laterali, la grande piazza in fondo al corso, tutto era letteralmente coperto di gente.
Una marea umana compatta che invadeva la città: uomini, donne, ragazzini, colori, bandiere, slogan: il fiume di popolo chiedeva lavoro, pace, giustizia.
Fra quelle persiane semi-chiuse una ragazza borghese del primo novecento apprendeva la sua vera prima lezione di storia. “Ho deciso in quel momento che non avrei più avuto paura della gente che esce in strada ad esprimere le proprie idee. Vivo la Storia – ho pensato – e lo racconterò ai miei figli”.
Un secolo dopo, nel 2019, in una giornata di primavera una città intera si è riversata ad invadere pacificamente il proprio centro fino al Duomo, alla grande piazza brulicante di umanità.
Era rappresentato ogni popolo in quel corteo, e la gente ha riempito la strada di colori, di canti, di slogan e di bandiere. Anche ora si chiede giustizia, e la pace di vivere al meglio tutti insieme in una città – Milano – diventata sempre più multietnica ed internazionale.
Anche in questa piazza le famiglie hanno portato i figli, e persone di ogni età e provenienza si guardano, si riconoscono parte di una stessa grande voce.
Ci sono momenti solenni in cui chi sfila non parla, ma parlano i cartelli mostrati con orgoglio: frasi semplici e importanti di fratellanza, di volontà per il futuro.
Dai lati delle strade altra gente si affolla. Ci guardiamo, noi del corteo e gli spettatori. Qualcuno scatta foto, altri sorridono, alcuni se ne vanno.
Penso a mia nonna Giulia, curiosa, intraprendente. Sono contenta di portare il suo nome. Una coppia mi si rivolge in inglese. Guardano il cartello che porto: “Ogni straniero è benvenuto a Milano”.
Ci salutiamo, ci riconosciamo, parte di quel popolo che in questo 2 marzo finalmente fa sentire la propria voce. Silenziosi i due britannici entrano nel corteo.
Procediamo, lenti, e siamo sempre di più.
Spiego a mio figlio che così si fa la storia. Lui si guarda intorno: non ha mai visto tanta gente tutta insieme.
Il vialone del Centro è fiancheggiato da palazzi, signorili, imponenti.
Grandi finestre, balconi, persiane, giochi di luce e ombra mentre guardo chi, dall’alto ci osserva.
Forse giornalisti – penso – o il servizio d’ordine.
Invece è altra gente, come noi, ma ancora muta.
Loro guardano noi che solo in parte li vediamo, poiché senz’altro molti sono là dentro, oltre le persiane chiuse.
Persone che vogliono lavoro, serenità, giustizia e pace.
Cone noi. Ma diversamente da noi hanno paura. E’ come avere spavento di sé, del proprio fratello.
Allora restano nel buio chiudendo via la luce, e la speranza di vita di questa primavera.
Cerco oltre i finestroni dei palazzi, frugando con lo sguardo nell’oscurità degli interni. Forse qualcuno è alla finestra per guardare attraverso le persiane.
Forse c’è qualcuno che pensa: la prossima volta ci sarò anch’io.
E’ vero che la storia non si ferma, ma quanto male avremmo potuto evitare allora, nel 1920, e quanto danno possiamo evitare ora, 2019, se tutti coloro che tacciono, simpatizzano ma temono, sbirciano ma restano fermi nell’ombra, potessero finalmente uscire allo scoperto per dire che siamo tanti, tutti, a pretendere una vita dignitosa ed una Legge che ci rispetti.
Giulia Remorino ,
Milano, marzo 2019