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Venerdì sera in televisione, notizie Internazionali, una reporter americana ha presentato il suo ultimo lavoro dall’Afghanistan.

Con lucida obiettività il reportage ha narrato i drammatici giorni del golpe mostrando scene dal vivo e, dove possibile, intervistando.

Ci sono la cautela e l’ansia iniziali, che presto lasciano spazio al terrore di scene da guerra civile.

La giovane americana continua il suo lavoro anche in zone ad alto rischio. Ed imperterrita chiede, pretende, rassicurazioni e chiarimenti rispetto ai diritti civili.

Come donna chiede spesso delle donne, circondate da un silenzio eloquente, poiché rese immobili da storia che guarda indietro e si basa sul terrore.

Donne, giovani e bambine, si trovano ora private del proprio futuro, senza lo spazio per un progetto, uno spiraglio nel domani.

Nell’inserto del Corriere che risale al 2 Novembre, viene dato risalto alla difficoltà di studiare, per chi non è riuscito a lasciare il paese.

Le giovani diplomate saranno tutte a burqua integrale: occhi vivaci e pronti che sottolineano l’assurda prigionia dell’abito. E poche presenti, poche partecipi.

Il futuro non è noto. Ma la storia non può arretrare, dice la nostra giornalista.

Le ragazze cresciute alla libertà e dignità, non si piegano e – se hanno paura – aspettano.

La cronista americana lascia il paese in una situazione sempre più caotica. E dal caos della regressione primordiale, tutto è silenzio.

Sono passati due mesi di silenzio. I canali dei social interrotti, una pesante mano regolatrice che non lascia penetrare nulla e non dà scampo.

Abbiamo consultato i pochi rimasti, di Emergency, per sentirci dire che pressioni per avere notizie o organizzare visite di donne fra noi, potrebbe avere pesanti effetti collaterali in loco.

Cosa resta? Probabilmente questo: diffondere notizie, immagini, scrivere, far sentire la forza tenace della resistenza.

Queste donne, ragazze, bimbe sono con noi, nel nostro agire e pensare, ogni momento. Tutto ciò forse impedirà altri gesti insensati di giustizia sommaria di cui ogni tanto giunge notizia.

E le immagini sono agghiaccianti, simbolo di un paese la cui civiltà sta andando alla deriva.

Forse non smettere di parlarne aiuterà la pigra Europa a schierarsi sempre più, ora con la forza dei propri naturali alleati.

Human in Progress diffonde la cultura del superamento di ogni barriera, perché questo enorme incredibile muro di silenzio venga scosso, prima dall’esterno nella consapevolezza di un risveglio delle coscienze, per entrare poi nel vivo del tessuto esistenziale di un paese che deve, con noi, riprendere a crescere.

Nota: nello stesso inserto “Buone Notizie” Corriere della Sera del 2 Novembre vi segnalo articoli importanti che riguardano il superamento delle diversità e l’apporto prezioso dei migranti alla nostra economia.

Valide indicazioni per i prossimi mesi, dove i nostri servizi d’informazione e didattici lavoreranno sui corsi ai rifugiati e sull’assistenza psicologica post-trauma alle donne in difficoltà.

Le iniziative prendono forma, nella concretezza di un rinascere che lasci per sempre indietro il Medio Evo oscuro della violenza, dell’ignoranza e della sopraffazione.

Dopo la pandemia cambiamo questa volta rotta, e che sia per sempre!

Giulia Remorino,
Presidente Human in Progress