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La negazione dell’Altro attraverso il messaggio dell’arte: una psicologa guarda l’opera di Frida Kahlo “Qualche piccolo colpo di pugnale”.

Ogni donna è amore, per istinto, conformazione, missione di vita nel generare e crescere i futuri “noi”.  Ogni donna è forte perché da tempi ancestrali difende la casa e protegge i piccoli, mentre il maschio preda e combatte.
Il corpo della donna, celebrato per bellezza ed armonia di forme, è perfezione pura della nostra specie. I nervi sono saldi per reggere i pericoli e i dolori del parto, la mente mobile e vivace per istruire la prole e salvare il nido.
Nella storia non si contano le donne che, simili a benefici fantasmi hanno guidato i propri compagni dall’ombra alle luci della fama: in arte come in politica e nella ricerca scientifica.
Oggi, anni 2000, la donna è più apertamente protagonista, tuttavia il drammatico quadro di Frida Kahlo non perde di attualità.
Il fatto di cronaca a cui l’autrice si ispira riguarda un delitto passionale in cui l’uomo, che ha massacrato  la propria donna per gelosia, minimizza e si giustifica dicendo che in fondo aveva dato a quel corpo “solo alcune pugnalate”. Non c’è bisogno di commentare quanto la persona, la sua dignità di corpo e di mente, vengono negate al punto che l’assurda macellazione diventa sacrificio necessario della donna, che si è permessa d’uscire dallo stretto recinto in cui era confinata.
La traduzione letterale di ciò che è scritto sulla tela sarebbe “qualche punzecchiatura”. Il titolo ufficiale reca il riferimento ai colpi di pugnale che nella scena  massacrano il corpo femminile. Peccato, poiché i termini riportati dall’autrice evidenziano quanto spesso la violenza sulla donna venga minimizzata, ridotta, perfino giustificata in modo pretestuoso ed ipocrita. E’ un triste nostro retaggio culturale?  Forse……
In realtà vengono dalla Kahlo espressi in modo magistrale alcuni messaggi-chiave: la figura della vittima giacente davanti al suo assassino è, per la posizione che assume e per i tratti mostrati, quasi una patetica grottesca bambola le cui parti appaiono disordinate e scomposte. La donna-cosa, il corpo frantumato e dissociato dove la femminilità menomata si mostra evidente nei dettagli di scarpa e calza presenti su di un’ unica gamba: frammenti di un feticcio impossibile da possedere, quindi oggetto da distruggere.
In senso freudiano il fallico pugnale è brandito da un assurdo ometto che attraverso la minaccia e la distruzione psichica e materiale della femmina, crede di assumere un potere, dove vi è solo sconfitta della vita e dell’umanità stessa.
Tutto questo è possibile, ed è stato possibile, anche perché il guerriero ha imparato ad usare la forza bruta, non ad allenare sensibilità e pensiero astratto. Resiste meno al dolore, quindi reagisce di più;  la sua istintività è irrazionale ed incontrollata. La ponderatezza e la capacità di visione globale, di sacrificio in nome di spinte ideali, che la donna gli propone in uno scambio potenzialmente dialettico, sono qualcosa a cui l’uomo non riesce a far fronte ed esplode fino ad agiti potenzialmente distruttivi, che ne sottolineano l’intrinseca fragilità.
Ciò che affermo ha una sua ragion d’essere antropologica ed è suffragato da mille esempi, che vivo ogni giorno in anni di pratica clinica.
Un signore colto, agiato, e socialmente rispettabile, quando la sua intelligente moglie discuteva con lui mostrando le proprie valide ragioni, iniziava a sfasciare  le porte di casa con calci e pugni e a lanciare oggetti. Se la moglie reagiva con veemenza veniva tacciata di essere una “donnetta isterica” e coperta d’insulti.
Possiamo dire che l’uomo in molti casi prova così tanta invidia verso la completezza femminile da volerla violare, ridurre, spezzettare nel corpo e nell’anima così da tacitare per sempre chi ti pone di fronte ad una scomoda quanto viscerale minorità.
Una mia paziente è rimasta cardiopatica a vita per via di un incidente occorsole durante una forte discussione con il marito. Lui, uomo sportivo e di gradevole aspetto, manager di successo apprezzato dalla comunità  locale, intratteneva rapporti intimi con minorenni amiche di sua figlia, probabilmente per problemi irrisolti e nevrosi che non vado ora ad approfondire.
Tacciato come vizioso ed immaturo dalla moglie, esasperata dalla condotta patologica di lui,  l’uomo in un raptus la gettò a terra coprendola di calci e pugni. La moglie gridava che lui l’aveva fatta soffrire anche in quanto madre, da quando aveva visto certi suoi messaggi sul cellulare…… allora l’uomo – preso il telefono – lo conficcò con tutta la sua forza e ripetutamente fra le costole di lei, quasi a voler colpire e ridurre al silenzio quel grande cuore di mamma e di moglie che tanto aveva lottato e sopportato, e che riusciva ad amare ancora. Ricoverata in ospedale la signora  non è mai guarito fisicamente del tutto. Per le ferite dell’anima la terapia sta aiutando. Il marito è ancora a piede libero….
La stessa Frida, nel suo fortissimo ed emblematico quadro, ci parla anche di sé come donna violata non soltanto nella femminilità, ma negli affetti più profondi, quando il compagno la tradisce con la sorella amata, creando quindi un duplice abbandono e cercando di piegarla con una duplice pugnalata.
Ma Frida, la donna , l’artista, una che come tutte noi, non si piega, testimonia – con il coraggio disperato ed estremamente forte del proprio dipinto – la sconfitta della forza bruta e il riscatto di quel corpo femminile, di quello spirito.

Anche quella vittima è in noi, e anche  per lei dobbiamo lottare..
Grazie.

Giulia Remorino Ibry

Novembre 2018