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Le trasmissioni televisive e gli articoli che parlano degli emigranti e dei rifugiati si susseguono quasi giornalmente, quindi mi limito a ciò che la nostra associazione intende fare e ad un breve riassunto della situazione attuale.
La nostra associazione si occupa di prestare assistenza psicologica e legale ai rifugiati e di praticare un’accoglienza di secondo livello, visto che un’accoglienza di primo livello è già praticata da altre strutture che fanno fronte all’arrivo massiccio di emigranti. In un prossimo articolo verranno presentati piani specifici di questo intervento di secondo livello.

Dal punto di vista legale i rifugiati sono gli emigranti ai quali, dopo avere chiesto asilo, viene riconosciuto lo stato di rifugiato perché fuggono da guerre o da paesi in cui corrono dei pericoli.

Non sono considerati rifugiati coloro che, invece, fuggono dalla miseria. Ma questa linea di confine risulta arbitraria, perché spesso anche molti di questi rischiano di perdere la vita nel loro paese di origine e nel viaggio della speranza verso l’Europa. Infatti, un numero troppo grande di questi muoiono per gli stenti attraversando luoghi non ospitali (deserto, zone di guerra) o durante una fortuita attraversata del Mar Mediterraneo che oggi ci rimanda l’immagine di un cimitero (solo nei primi sei mesi dello scorso anno i deceduti nel Mediterraneo sono stati1839 e nei primi sei mesi dell’anno scorso sono saliti a 2920: vedi “Sette” del 5 agosto 2016).
Per ora il nostro intervento riguarda i rifugiati. Questo non toglie che tutti gli emigranti siano portatori per noi di ricchezza. Questa ricchezza è rappresentata dallo scambio che ci permettono di fare tra orizzonti e culture diverse. Chiusi nel nostro mondo, benché evoluto, si rischia la decadenza, perché la legge dell’entropia (concetto mutuato dalla fisica) non dà scampo.
Non sempre questa ricchezza viene riconosciuta, sia a causa di pregiudizi (possiamo chiamarlo razzismo) sia per delle ragioni concrete. L’articolo di Giovanni Belardelli “L’altro ha due volti difficili da unificare” (Corriere della Sera del 18 settembre 2016) ci mostra come nella nostra mente ci rappresentiamo due facce dell’emigrante che devono essere unificate: “I derelitti in fuga dalla guerra e dalla miseria che vorremmo aiutare, e dall’altra gli stranieri che cerchiamo di respingere perché ne abbiamo timore” (ci portano via il posto di lavoro, la loro religione è inconciliabile con la nostra…)
Questo non significa che non dobbiamo tutti cercare di creare delle condizioni vivibili nei paesi di origine dei migranti. Oggi nell’accoglienza sono coinvolte alcune regioni italiane, (sono previsti 70 rifugiati in ogni provincia, vedi Corriere della Sera del 30 maggio 2016) e alcuni paesi europei. Altri non capiscono e egoisticamente rifiutano di farsi carico delle quote rifugiati a loro assegnate. Il commissario Ue ha reso noto che solo 3056 profughi su 160.000 concordati sono stati ricollocati dalla Grecia e dall’Italia in altri paesi della Ue (Corriere della Sera di giovedì 14 luglio 2016).
Del resto le migrazioni ci sono sempre state e dal nostro paese molti migranti sono partiti per il resto dell’Europa e per l’America, dove hanno subito umiliazioni e lutti (vedi Marcinelle in Belgio), oltre a raggiungere notevoli successi. Queste riflessioni dovrebbero renderci più sensibili al discorso sull’emigrazione e sui bisogni che la inducono.
Liliana Chisté
per Human in Progress