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La legge Cirinnà, più estesamente denominata “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” è stata approvata definitivamente dal Parlamento l’11 maggio 2016, con entrata in vigore il 5 giugno 2016. La legge, così denominata dal nome della prima firmataria, la senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà, ha introdotto finalmente in Italia dopo anni di richieste (e dopo la condanna della Corte di Strasburgo) una regolamentazione delle unioni tra coppie dello stesso sesso, riconoscendo diritti e doveri analoghi a quelli dell’istituzione del matrimonio. Vi sono però delle differenze sostanziali, su cui è bene soffermarsi per entrare in un’ottica complessa sul tema.
Le differenze riguardano quattro punti:
• adozione di minori;
• obbligo di collaborazione;
• obbligo di fedeltà;
• il sesso dei contraenti.
Riguardo l’adozione di minori, coppie unite civilmente non possono richiedere adozione; lo stesso vale per la tanto chiaccherata “stepchild adoption”, che consiste nella possibilità di un membro della coppia unita civilmente di adottare il figlio dell’altro membro. Questo è un argomento complesso, che apre ai temi dell’omogenitorialità e dell’accettazione sociale.
Il dovere reciproco alla collaborazione consiste nella continua consultazione e dialogo trai due coniugi per lo svolgimento organizzativo della vita famigliare e nell’interesse della stessa. La mancanza di questo obbligo non è ben specificata nella stesura della legge, che descrive obblighi molto vicini al concetto sopra esposto. Si può quindi affermare che questa differenza è formale, ma non sostanziale.
Diversa è la situazione per l’obbligo di fedeltà: nella storia dell’approvazione della legge questa differenza è stata pensata da partiti politici che volevano evidenziare come il matrimonio si distaccasse dall’unione civile; il matrimonio rimaneva quindi una struttura tradizionale, in cui un uomo e una donna sono chiamati per legge alla reciproca fedeltà. Per alcuni esponenti politici questa differenza è stata messa come “smacco”, per non dare pari dignità alle unioni tra le coppie same sex.
Ho evidenziato come differenza anche l’appartenenza di sesso dei contribuenti del matrimonio e dell’unione civile: può apparire come una sottolineatura inutile, ma non lo è. Concedendo l’unione civile a due persone dello stesso sesso questa si vuole quindi chiaramente differenziare dal matrimonio, riservato alle coppie eterosessuali che, paradossalmente, non possono unirsi in una forma istituzionale che non contempli l’obbligo di fedeltà. Una parte della comunità LGBT, pur riconoscendo l’enorme passo avanti sui diritti civili, sottolinea come la nuova regolamentazione veda gli italiani omosessuali come cittadini di serie B. Alcuni cittadini eterosessuali invece hanno visto nel decreto di legge una mancata occasione di istituire un contratto a metà tra una regolamentazione di convivenza (introdotta dalla Legge Cirinnà, per coppie di qualsiasi sesso) e un matrimonio, pensando a un’istituzione più snella e meno tradizionale, dove i valori legati alla coppia e alla famiglia non sono disciplinati dalla legge, ma co-costruiti.
Di sicuro la nuova regolamentazione ha aperto molti altri scenari possibili, in cui spesso è molto difficile capire come nuovi diritti a livello politico non portino necessariamente un cambiamento a livello sociale, personale e di eguaglianza.

Dr. Marco Aldegheri