Leggevo un articolo di Andrea Riccardi su “Sette” del 24 febbraio 2017 e mi è sembrato che cogliesse il cuore di uno dei sentimenti che ogni migrante prova quando arriva in un posto nuovo, al di là di quelli che sono i suoi vissuti e i traumi subiti nel paese di origine: un senso di spaesamento.
Io stessa sono stata una migrante ed ho rivissuto quello che avevo provato allora quando dall’Italia avevo migrato in Canada. Anche a me l’impatto con un nuovo ambiente e una nuova cultura aveva dato quel senso di spaesamento. Spaesamento che è venuto amplificandosi sempre di più nei mesi successivi. Se da una parte questo stato d’animo apriva le porte al nuovo, dall’altra mi rendevo conto che non mi sentivo più come prima e così non mi sarei sentita mai più. Eppure questo sentimento, come per il bulgaro T. Todorov, era stato mitigato dalla buona accoglienza avuta. Un trauma accolto e gestito bene.
Ma è così anche per i migranti che arrivano in Italia?
Dell’articolo tratterò solo l’aspetto che riguarda i migranti, della loro realtà attuale, che mette in gioco la loro capacità e possibilità di ristrutturare la propria identità dopo un primo momento di spaesamento.
L’articolo inizia citando un libro “L’uomo spaesato” di Zvetan Teodorov. L’autore del libro , che lasciò la Bulgaria nel 1963 per andare prima in Francia e poi in USA. dice: “l’uomo separato dal proprio ambiente…in un primo tempo soffre; è più gradevole vivere con chi ci è familiare” Ma se lui è riuscito a dare il meglio di Sé, facendo della Francia la patria culturale d’elezione, è perché è stato accolto. Ma per i migranti attuali spesso è più facile che questa ristrutturazione positiva non si verifichi perché l’accoglienza è carente e non porta a una vera integrazione.
Come dice A. Riccardi, talvolta i migranti perdono la cultura di origine che si sbiadisce come un fatto del passato e si trovano senza punti di riferimento per leggere la vita ed il mondo. Perdere la propria storia vuol dire affrontare “nudi” il proprio futuro, senza difese, orientamenti griglie per interpretarlo. E spesso questo provoca marginalità.
Se non c’è integrazione, questo passato può restare come un simulacro(soprattutto per le seconde generazioni, ma non solo) ma sbiadito a cui ci si aggrappa strenuamente (radicalizzazione e ribellione) per sfuggire al vuoto esistenziale. Quando si parla di islamisti si tiene poco in conto questo elemento di spaesamento, che non viene compensato dall’accoglimento nella nuova cultura e quindi non permette la costruzione di un’identità nuova e integrata. Lascia soli nel trauma.
A questo punto A. Riccardi introduce il tema della cultura. Dice che che c’è bisogno di più cultura, di più conoscenza. Anche se non siamo tutti intellettuali come Teodorov, un po’ di cultura forse serve a ciascun emigrante per vivere in un mondo così complicato, per ridefinire la propria identità..
E’ così che può venire introdotto il discorso della scuola e dell’educazione, sotto qualsiasi forma, come uno degli aspetti più importanti per superare positivamente il senso di spaesamento.
Liliana Chisté
Maggio 2017