Da un recente viaggio in Turchia non vorrei effettuare un dettagliato e noioso articolo di geopolitica, dove illustrare la delicata situazione del Paese, ma vorrei annotare alcune impressioni, alcuni momenti che possono colpire, e in particolare delle contraddizioni che un occhio distratto come il mio da turista può subito cogliere.
Innanzitutto la varietà del tessuto socio-culturale: in qualche ora di bus si può passare da paesini non turistici conservatori con donne e uomini vestiti in abiti tipici dove una birra è introvabile a cittadine sul mare dove i camerieri in short e polo con stampa a fiori attirano i turisti declamando le cene al raki, un liquore tipico turco (una volta ritenuto bevanda nazionale, ma attualmente osteggiato dal governo con multiple tasse, e dando il primato di bevanda nazionale all’ayran, analcolica).
Lo stesso clima molto occidentale si può ritrovare nella capitale Ankara, dove nei bar e ristoranti principali l’accesso è obbligato passando attraverso porte metal detector (come del resto in ogni aeroporto e stazione dei bus grande). Alla mia sorpresa sul passare il metal detector solo per consumare un pasto, mi rassicurano: sono tutti spenti, non sono in funzione.
Anche parlare con le persone del luogo è un po’ disorientante: si incontrano leviti profondamente contro il governo, tassisti che invece inneggiano alla situazione politica attuale e alla nuova spinta economica, venditori che accusano i curdi di essere dei mafiosi, fedeli in moschea che illustrano ai turisti i principi dell’Islam, persone che trovano sciocco ed eseguito solo per spettacolo il momento di preghiera all’ora stabilita effettuato in un’area di sosta.
Parlo anche di una esperienza personale: circa 5 anni fa mi sono recato a Istanbul visitando i principali monumenti, tra cui Aya Sofia, il luogo di culto che rappresenta un incrocio di culture, di religioni, di mondi che si sono parlati (e che possono parlarsi?). Mi ricordo di aver fatto la fila, di aver pagato il mio biglietto, di essere entrato ed essere stato molto tempo a fotografare tutto, sia il piano terra che il livello superiore, pieno di mosaici bizantini e con delle piccole finestre che danno delle viste spettacolari sulla città. In questo viaggio decido di rientrare: nessun biglietto, entro, mi rendo conto che il monumento è stato riconvertito in moschea. Dopo quindi aver tolto le scarpe per accedere, non posso ammirare i pavimenti (nelle moschee vi sono degli ampi tappeti per preservare l’igiene del luogo), non posso accedere al livello superiore. Sempre una esperienza magnifica, ma ho sentito Aya Sofia meno mia: mi sono sentito un gradito ospite in un monumento che dal 1935 fino 2020 al è stato dichiarato museo.
Un po’ Europa, un po’ Asia, persino a un occhio poco attento la Turchia appare come un paese pieno di storia, di diversi popoli, di quelle idiosincrasie naturali e non che popolano la storia dell’uomo.
Marco Aldegheri,
Human in Progress
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