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Spesso alla vista cruda e terribile dell’ennesima tragedia di guerra, queste sono le tipiche reazioni di una parte di umanità – ci sono dentro anch’io – resa cinica da delusioni, lotte, egoismi e vile sopravvivenza.

Quando ero ragazzina mi portarono a vedere un documentario dove venivano mostrati gli scenari agghiaccianti di un possibile attacco con il gas nervino. Veniva simulata la vita nella piazza centrale di una grande città e si assisteva, allora in bianco e nero, allo strazio di quelle figure di passanti o fuggitivi, le vittime, che si rotolavano e si contorcevano negli spasmi. Toccati infine i centri vitali si bloccavano nella fissità della fine, e restava un silenzio soprannaturale, un deserto di corpi e strutture senza più senso in un fermo immagine da “day after”.

Il commentatore diceva rassicurante “perchè questo orrore non accada mai più” e sentivo in me l’orgoglio di appartenere ad un mondo che, dopo la catastrofe bellica, aveva finalmente capito, e si impegnava a costruire la pace.

Ora cosa dire, dopo decenni? Spiegazioni economico-socio-politiche riempiono testi e schermate di computer. “What for? Perché?”.

Ogni giorno in tanti rischiano la vita per salvare altre vite, ogni mattino genitori mandano a scuola i figli sperando in un’educazione migliore. Ma i valori si consumano in vuota retorica, chi soffre e grida guarda disorientato all’Altro che non lo riconosce. Mi vien da dire: che non lo riconosce più, perché – si sente nell’aria – stiamo peggiorando.

Dopo un tempo di errori, di passi maldestri, ma anche di tentativi e di speranza, adesso il riso vuoto dell’ignoranza, dell’arroganza e del pregiudizio si diffonde rapido e contagioso, di fronte allo sguardo smarrito di chi vorrebbe difenderla l’Umanità, ma non sa più come.

Si aprono così scenari squallidi ma minacciosi per chi sa leggere la Storia: come spettacoli di dileggio nei confronti dell’orrore dei campi di sterminio, che indisturbati vengono messi in scena sul territorio di Paesi democratici i quali sembrano quasi non vedere, o comunque vedere troppo poco. E l’ Europa, nobile vecchia saggia e stanca, attende.
Sembra ignorare, Europa, che questo chinare lo sguardo e tacere può portare solo al peggio. Non cercare subito l’Altro verso una catena umana forte e coerente, questo movimento mancato – nonostante i filosofi e la forza del pensiero libero – il non tentare di trovare lo sguardo che dice Umanità, la mano che afferra e non lascia andare; se tutto questo manca – Europa – un velo oscuro sopra le coscienze, sopra i corpi dei bambini, dei vecchi, delle donne e di tutti coloro che ti chiedono aiuto e ragione, una oscurità senza rimedio può portarci a negare tutto ciò per cui esistiamo, nel trionfo del NULLA.

Giulia Remorino Ibry
20/4/2018