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Ho appena effettuato un viaggio in Marocco e tra divertimenti e visite a maestosi monumenti ho avuto dei piccoli momenti di (triste) riflessione.

Sono a Meknes, una delle quattro città imperiali: quella più piccola, quella meno turistica, quella che appare un poco più dimenticata. Mangio un qualcosa nella piazza principale davanti alla grande porta (una delle più grandi del Marocco). Mi si avvicina un commerciante, che un po’ vuole scambiare due chiacchiere, un po’ vuole convincermi ad andare alla sua bancarella per comprare. Mi dice di essere stato in Italia per 17 anni, “quando in Italia c’era ancora la Lira”. Mi dice molto chiaramente che in Italia spacciava hashish, ma che è rientrato in Marocco perché “la notte volevo dormire sonni tranquilli” (attualmente unirebbe il commercio illegale di droga al commercio di spezie). Mi espone con poche parole la drammatica situazione del commercio di droga in Marocco: questo Paese è il maggior esportatore di hashish in Europa, nonché maggior produttore mondiale (oggi è attualmente Paese capofila, con 47.000 ettari dedicati alla coltivazione della cannabis, seguito a grande distanza dal Messico con 15.000 ettari). Mi espone la sua paura verso il boss, che con la sua potenza e i suoi mille contatti ottiene numerose vendite e grandi ricavati, specie sulla droga esportata (per questo mi dichiarerebbe che spacciare in Marocco è molto più tranquillo rispetto allo spaccio in Spagna o in Italia). Mi parla anche della famiglia, di una bambina piccola, che ora può maggiormente accudire senza grosse preoccupazioni.

È invece a Fes che mi imbatto in un fenomeno che mi incuriosisce: nelle piazze gremite di artigiani locali ci sono molti venditori che in Italia per anni in maniera impropria e maleducata sono stati chiamati “i marocchini”, in realtà generalmente senegalesi o comunque provenienti dalla regione sub-sahariana, che vendono occhiali, accendini, oggetti vari. Mi documento, e scopro che proprio qualche anno prima nella città c’è stato un flusso di migranti accampati per mesi alla stazione. Il Marocco pare essere una tappa obbligatoria per i flussi migratori verso l’Europa data la sua posizione di snodo. Dietro il fenomeno c’è anche una vera e propria mafia, che impone a dei ragazzi di togliersi dalla povertà assoluta tramite un traffico di vite umane (presi da piccoli paesi e obbligati poi a vendere gadget dove meglio possono avere un ricavato da poi spartire).

Siamo pronti a pensare che dietro a persone che appaiono completamente diverse da noi ci sono le stesse paure, le stesse ansie, la stessa ricerca di un equilibrio (e che forse noi siamo stati più fortunati)?

Tutto il (triste) mondo è paese.

Marco Aldegheri
Human in Progress